La trasformazione°. Progettare l’attesa.
Idee admin 17 settembre 2013Un intervista tratta da Doppio Zero, di Marco Magnone e Francesca Cirilli
Giocavamo alla tedesca in via Pacini, la porta era il muro dello Scalo. Prima però, c’era da preparare il campo, spingendo via le siringhe con le scarpe. A volte il pallone finiva di là. E non erano più una sorpresa per chi scavalcava i resti di un fuoco, la casetta occupata da qualche tossico, una ruspa ferma, i rifiuti e le erbacce sempre più alte. Io che abitavo in Vanchiglia la Barriera l’ho scoperta così, come i miei compagni dell’Einstein che venivano da San Mauro e Settimo, in quei pomeriggi prima del rientro, quando le uniche strutture ricreative erano una via cieca. Così abbiamo scavalcato anche i Novanta.
Lo Scalo s’è fatto deserto nel 1990 e da allora nemmeno la neve che d’inverno scaricano i mezzi serve a riempirlo. Nel frattempo dell’idea da città stato “investire per cambiare” è rimasta la coda di debiti. Ma molti non hanno perso l’ansia di riempire, sempre più in fretta, fare senza capire. Come quando al supermercato butti nel carrello e poi a casa non sai cosa ti sia preso. E infatti in posti così, come in spina 4, spesso arriva un supermercato, al massimo qualche panchina e un’aiuola. Per qualcosa d’altro ci va tempo, ci va un progetto, ci va fatica. Intanto però il tempo passa, bisogna aspettare. E quest’attesa meriterebbe di più, andrebbe progettata a sua volta: la progettazione dell’attesa. Perché intanto siamo qui.
Mai visto qualcuno cancellare un deserto? Non ce la fai. Ma a coltivarlo forse sì. Come per ogni orto serve però qualcuno che se ne prenda cura, con pazienza e generosità. E conoscenza, per vedere il buono che portano le api, le erbe spontanee, gli ibridi. Altrimenti, ognuno penserà sempre e solo a difendere il suo pezzetto, senza nemmeno accorgersi di essere solo in una guerra tra poveri. Per esempio, la mia generazione è stata l’ultima a giocare nei campi di calcetto liberi, ma anche la prima a dover pagare per quelli privati. Come tutte quelle che sono venute dopo. Oggi cosa immaginiamo per la prossima, cosa vogliamo? Forse uno spazio – per andare avanti davvero, ma con un occhio a cosa c’è sopra e sotto la sabbia. Ha ragione Calvino, “ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”.
(Consigliere e presidente della Commissione Ambiente del Comune di Torino)