Denuclearizzare il Piemonte.

Idee, Regione, sostenibilità admin 7 settembre 2014

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Forse non tutti sanno che la Regione Piemonte ospita ancora, sul proprio territorio, tre siti nucleari con quattro impianti rappresentativi di tutto il ciclo del combustibile nucleare: l’impianto ex FN-SO.G.I.N. di Bosco Marengo, l’impianto EUREX-SO.G.I.N. di Saluggia, il Deposito Avogadro di Saluggia e la Centrale Nucleare “E. Fermi”-SO.G.I.N. di Trino.
A dirla tutta, in Piemonte è stoccato il 96% dei rifiuti radioattivi presenti a livello nazionale.
L’impianto FN (Fabbricazioni Nucleari) di Bosco Marengo, costruito a partire dal ’67 allo scopo di produrre barre di combustibile nucleare, è quasi completamente smantellato, mentre all’ex centrale di Trino, definitivamente fermata nell’87 dopo il referendum, il combustibile esaurito è stato quasi interamente spostato all’ENEA-Eurex per essere “riprocessato” in loco oppure (negli ultimi anni) inviato a Sellafield o a La Hague e là riprocessato e vetrificato.

Ma è il sito di Saluggia a presentare le maggiori problematicità. L’impianto EUREX (Enriched URanium EXtraction) fu costruito dal ’65 al ’70 e gestito fino all’84 dall’azienda statale proprietaria del sito, l’ENEA (Ente Nazionale Energia Atomica), per riprocessare gli elementi esauriti di combustibile nucleare provenienti dalle centrali atomiche italiane e non solo, allo scopo di estrarre gli elementi fissili riutilizzabili. Nel periodo di attività l’EUREX ha riprocessato quasi 600 barre di combustibile irraggiato, estraendo alcune decine di Kg di uranio ad alto arricchimento e alcuni Kg di plutonio. L’interruzione delle attività nell’84 ha lasciato sul sito la quantità nazionale più rilevante di prodotti radioattivi di tutti i tipi, tra i quali i più pericolosi sono senz’altro i liquidi provenienti dal riprocessamento (circa 230 metri cubi contenuti in 5 serbatoi di acciaio, di cui oltre la metà catalogati in 2° categoria e il resto in 3°). La solidificazione di questi liquidi, attraverso la costruzione in loco di un impianto per la loro “cementazione”, rappresenta l’urgenza maggiore ormai da anni.
Attualmente a Saluggia l’azienda statale S.O.G.I.N., cui sono state trasferite le licenze di esercizio di FN, EUREX ed E. Fermi per gestirne la disattivazione, sta ultimando la costruzione del deposito D2 (scorie di 1° e 2° categoria) e apprestandosi a costruire un secondo deposito, il D3 (scorie di 3° categoria), soprattutto in vista della restituzione all’Italia, in base alle leggi europee, dei materiali radioattivi inviati nel corso degli anni a Sellafield, La Hague e Savannah River.

Non solo: nella gestione della propria attività a Saluggia, EUREX ha utilizzato anche un deposito situato a poche centinaia di metri di distanza, l’Avogadro. Qui, un tempo, si trovava il primo reattore nucleare di ricerca italiano, costruito da un pool privato gestito da FIAT dal ’59 all’interno dell’azienda biomedicale Sorin, e spento nel ’71, quando la piscina è stata frazionata e adibita a deposito di combustibile. Le condizioni strutturali dell’AVOGADRO paiono precarie e la situazione all’interno della Sorin, trattandosi di privati che non rispondono alla gestione di SOGIN, è assolutamente “fuori vista”. È un fatto che l’azienda abbia prodotto per anni molti tipi di radiofarmaci, che hanno certamente dato luogo a un volume rilevante di scorie nucleari principalmente di 2° categoria.

Siamo partiti prima dell’estate per una visita ai luoghi del nucleare in Piemonte, per provare a comprendere davvero la situazione. Certo è stupefacente quanto il tema sia periferico rispetto al dibattito politico locale e nazionale, perché la denuclearizzazione del Piemonte interessa in realtà tutto il Paese. La questione in ballo infatti, in discussione da anni, è quella dell’individuazione di un sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari che soddisfi i criteri già stabiliti e pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A.).
Le scorie riprocessate provenienti dal decommissioning dei siti hanno insomma bisogno di essere depositate in un luogo effettivamente idoneo, protetto, sicuro (quindi, per esempio lontano da aree vulcaniche, da località che si trovino a 700 metri sul livello del mare o a una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, da aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e dalle fasce fluviali – Saluggia, per dirne una, è sita in un triangolo tra il fiume Dora Baltea e i due canali artificiali Cavour e Farini –, da aree naturali protette, dai centri abitati).
Per questo S.O.G.I.N., come abbiamo potuto verificare nell’incontro con i suoi rappresentanti, non fa che ribadire che i depositi D2 e D3 devono essere “temporanei”: si tratta sì di mettere in sicurezza il sito, ma il rischio è che depositi come questi, bunkerizzati e con caratteristiche di funzionalità non inferiori ai 50 anni, finiscano per diventare la tappa ultima di quel 98% di scorie ‘espatriate’ che presto faranno ritorno, con un danno per l’azienda stessa che, a quanto pare, ha tutto l’interesse a che il progetto del sito nazionale sia portato a termine.

L’inquietudine è molta, la Francia stessa ha bloccato gli ultimi viaggi di combustibile verso il suo territorio perché dubbiosa che l’Italia mantenga gli impegni e avvii il deposito nazionale, che deve essere pronto entro il 2025. E così, le ultime 47 barre di combustibile nucleare esaurito aspettano nella piscina della E. Fermi e altre 13,2 tonnellate di combustibile irraggiato giacciono all’Avogadro. Se il combustibile non parte, il decommissioning dei siti si ferma.

Ci siamo presi l’impegno, a partire da una mozione presentata in Consiglio Regionale, di seguire questa vicenda e indurre il Consiglio e a Giunta a fare lo stesso. Innanzitutto perché il Presidente Chiamparino può, in qualità di Presidente della Conferenza delle Regioni, ribadire al Governo che senza l’individuazione in tempi brevi del sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari qualsiasi processo di decommissioning sarebbe del tutto incompleto: occorre, come previsto, procedere entro sette mesi alla mappatura dei luoghi idonei, trasmettere la carta ai Ministeri e all’ISPRA, individuare entro quattro anni il sito e realizzarlo nei successivi 4-5 anni. Farlo è assolutamente possibile.
Ma non solo: vorremmo che la Commissione Ambiente del Consiglio Regionale avviasse una serie di audizioni e sopralluoghi, al fine di raccogliere il maggior numero di informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori della denuclearizzazione del Piemonte e anche, eventualmente, valutare l’ipotesi di soluzioni temporanee alternative per disimpegnare il sito inadeguato di Saluggia.
E chiediamo che sia data piena applicazione alla legge regionale n°5 del febbraio 2010 (Norme sulla protezione dai rischi da esposizione a radiazioni ionizzanti), garantendo effettivamente programmi di prevenzione a beneficio dei lavoratori e degli ex lavoratori degli impianti.
Infine, non ci si può sottrarre al confronto con le popolazioni più direttamente coinvolte, cui vanno garantiti strumenti di corretta e completa informazione in merito a ogni aspetto delle procedure di denuclearizzazione del Piemonte.

Marco Grimaldi, Capo Gruppo Sel Regione Piemonte

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