Torino: al voto la legalizzazione delle droghe leggere.
Idee admin 8 gennaio 2014Lunedì Torino sarà la prima città in Italia a pronunciarsi sull’abrogazione della Fini Giovanardi e sulla legalizzazione delle cosidette “droghe leggere” con una mia proposta dal nome “Coltivazione a fini di commercio, l’acquisto, la produzione e la vendita di “cannabis indica” e dei prodotti da essa derivati tenendo ferme le normative repressive del traffico internazionale e clandestino di droghe”.
Nel mondo, dopo l’Uruguay e molti Stati americani, tra cui quello di New York, si è aperto un dibattito sulla legalizzazione della cannabis e delle droghe leggere. Spero come sostiene Farina (Sel) che sia l’inizio della fine del proibizionismo globale.
Come sostiene da anni Sinistra Ecologia LIbertà e come ha ribadito anche ieri Nichi Vendola: “La legge Fini-Giovanardi e’ una legge sbagliata, feroce, inefficace. Il proibizionismo non e’ altro che manna dal cielo per i narcotrafficanti. E’ ora di legalizzare la cannabis”.
Come sapete dal 1995 ad oggi, la possibilità di un confronto pragmatico ed equilibrato in Parlamento è stata resa vana dall’ostruzionismo manifestato dalle posizioni più estreme e proibizionistiche, seppure nel Paese il tema della legalizzazione dei derivati della cannabis indica abbia acquisito consensi sempre più vasti. Al di là di una impostazione ideologica, importanti riflessioni scientifiche e proposte concrete, hanno posto l’accento sulle esperienze e sulle scelte compiute in questi anni in Europa, sia sotto il profilo legislativo, sia in fase sperimentale ed oggi con risultati consolidati per quel che riguarda i programmi e le politiche di riduzione del danno. Nel corso degli anni Novanta non pochi sono stati i progressi compiuti dal dibattito nella società italiana e negli orientamenti dell’opinione pubblica. Il successo, nel 1993, del referendum abrogativo delle norme penali del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ha dimostrato che la scelta repressiva, ispiratrice di quel testo, deve lasciare spazio ad una visione più pragmatica che privilegi un approccio di riduzione del danno. Tale consapevolezza, tuttavia, non ha avuto un approdo legislativo coerente con i risultati del referendum. Oggi la situazione è ancora più` difficile perché la legge Fini-Giovanardi approvata con un colpo di mano nel 2006, oltre a rivendicare una svolta di 180 gradi nella politica sulle droghe in senso repressivo, ha cancellato la differenza tra le diverse sostanze, mettendo in una unica tabella droghe pesanti e droghe leggere. Il risultato è che le carceri sono piene non solo di tossicodipendenti ma anche di consumatori condannati per detenzione di pochi grammi di “erba” o per la coltivazione di una piantina di canapa. Occorre far valere di nuovo, a distanza di molti anni dal referendum, la capacità pragmatica di valutare i termini effettivi, anche e in primo luogo sotto il profilo giuridico e legislativo, delle politiche di riduzione del danno e, in quest’ambito, della legalizzazione dei derivati della cannabis indica, senza, appunto, pregiudizi, come è stato proposto tanti anni or sono, dagli appelli ad una più incisiva politica di riduzione del danno e ad una sostanziale distinzione, sotto il profilo legislativo, dei derivati della cannabis indica dalle altre sostanze stupefacenti. Appelli sottoscritti da autorevoli esponenti della cultura, della società civile, del volontariato e da operatori della sanità ci ricordano che: «la legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” è opportuna non solo perché la valutazione delle conseguenze connesse al loro consumo non dovrebbe interessare il diritto penale (se non nei casi in cui il consumo, appunto, nuocesse ad altri)» e che «l’uso della cannabis non viene vietato in quanto pericoloso, ma è pericoloso proprio in quanto vietato». Nel corso di questi anni la logica penale ha aggravato e pesantemente condizionato la realtà del nostro Paese e reso ancora più difficile un diverso ed equilibrato approccio ai problemi delle tossicodipendenze, in generale, e alla realtà del consumo delle sostanze illegali. I dati relativi alla sfera penale sono nel contempo drammatici e indicativi. In Italia come in Europa il 50 per cento dei detenuti è in carcere per reati connessi al consumo di sostanze stupefacenti. L’Europa, con l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT), ha da tempo sollecitato i Paesi europei a misure positive di riduzione del danno, sulla base anche delle esperienze ormai diffuse e consolidate: dalla Svizzera all’Olanda, dalla Germania alla Spagna, dal Belgio al Portogallo. Di contro in Italia l’approccio penale deprime e rende complesso il ruolo delle strutture pubbliche, come dimostrano i dati contenuti nelle relazioni annuali al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, e limita la possibilità di attuazione di progetti sperimentali di riduzione del danno.
Recentemente l’associazione «Forum Droghe » ha curato l’edizione italiana del volume: «Dopo la war on drug». Un piano per la regolamentazione legale delle droghe, un testo elaborato dalla Fondazione inglese Transform impegnata da anni sul terreno della politica di riforma delle droghe. Il lavoro presenta una serie di opzioni pratiche e concrete per la creazione di un sistema normativo globale per tutte le sostanze psicoattive ad uso non medico, tracciando chiaramente un percorso di superamento della proibizione definita dalle Convenzioni delle Nazioni Unite. Sono molte le voci che ormai certificano il fallimento della war on drugs come testimonia il documento della Commissione latino-americana su droghe e democrazia, un organismo di esperti promosso dagli ex Presidenti Cardoso del Brasile, Gaviria della Colombia e Zedillo del Messico che chiedono un cambio di paradigma; un altro documento fondamentale è quello di questo anno della Global Commission on drug policy presieduta dall’ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, che chiede una scelta a favore della legalizzazione. Non va trascurato neppure il costo fiscale del proibizionismo. Recenti contributi teorici sostengono la superiorità degli strumenti fiscali per contenere il consumo di droghe rispetto alla applicazione di una normativa proibizionista. In Italia il consumo di tabacchi ed alcolici è appunto scoraggiato tramite l’imposizione di una elevata tassazione. Uno studio del professor Marco Rossi dell’Università La Sapienza di Roma, stima le imposte ricavate sulla vendita della cannabis in 5,5 miliardi l’anno.
Per questi motivi spero che il parlamento approvi il disegno di legge Farina (sel) o chieda al governo, come faremo lunedì in consiglio comunale, perché esso emani un decreto di legge che preveda il passaggio da un impianto di tipo proibizionistico ad un impianto di tipo legale della produzione e della distribuzione delle droghe cosiddette «leggere» con una norma che consenta, in deroga alle previsioni dei titoli III, IV, V e VI del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la coltivazione a fini di commercio, l’acquisto, la produzione e la vendita di cannabis indica e dei prodotti da essa derivati tenendo ferme le normative repressive del traffico internazionale e clandestino di droghe, oggetto della gran parte delle convenzioni internazionali in materia di droghe. Un successivo decreto potrebbe determinare le caratteristiche dei prodotti destinati alla vendita al dettaglio, della tipologia degli esercizi autorizzati alla vendita e della loro distribuzione sul territorio, nonché dei locali pubblici in cui potrebbe essere consentito il consumo delle sostanze. La soluzione proposta consentirebbe l’introduzione di un’imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo (accisa) e nel breve periodo di promuovere una fase necessaria di transizione e sperimentazione, che deve vivere di una ulteriore sedimentazione di una cultura diffusa in ordine alla tollerabilità del consumo di droghe “leggere”.
Marco Grimaldi