La redistribuzione possibile.
creatività, Idee admin 25 marzo 2014Qualche tempo fa ho letto uno studio di Od&m (GiGroup) sulla retribuzione dei top manager privati e dei propri dipendenti nell’Italia di oggi. L’analisi diceva che i direttori generali del campione prendevano 513.448 euro, 22,7 volte lo stipendio di un operaio (22.600 euro). Senza scomodare il grande tema globale della redistribuzione del reddito mi pare che il problema sia evidente a tutti. Ma a anche nel pubblico non si scherza. ” L’Italia è il Paese dei manager pubblici superpagati: l’Ocse nel rapporto ‘Government at a Glance 2013′ sulle retribuzioni dei senior manager dell’amministrazione pubblica centrale italiana, con dati aggiornati al 2011. Cosa dice il rapporto? Che i dirigenti italiani della Pubblica amministrazione portano a casa una retribuzione di 632 mila dollari l’anno (circa 482 mila euro al cambio attuale), quasi tre volte la media dei paesi Ocse che si ferma a 232 mila dollari. A debita distanza i dirigenti della Nuova Zelanda, al secondo posto tra i più pagati, con 400 mila dollari e poi quelli del Cile. Molto indietro francesi e tedeschi che si fermano a poco più di 250 mila dollari” Lo scontro, tutto mediatico, avvenuto dopo le dichiarazioni di Moretti al piano Cottarelli-Renzi non ha fatto emergere del tutto il paradosso tutto italiano: mentre il Paese è in crisi, le aziende chiudono e sale la disoccupazione giovanile, le retribuzioni dei top manager pubblici rimangono spesso faraoniche, senza nessun rapporto con gli stipendi dei lavoratori dipendenti (tra i più bassi in Europa) e con la salute delle imprese. Su questo bisognerebbe fare un passo indietro e smentire l’assolutismo dell’affermazione “i dipendenti pubblici sono troppi e costano troppo alle casse dello Stato”. In realtà a guardarla bene siamo l’unico, dico l’unico paese in Europa, in cui il numero dei dipendenti pubblici sia calato dal 2001, e in modo considerevole. Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione ce lo ricorda in una sua ricerca: “in Irlanda è aumentato del 36,1%, del 29,6 in Spagna, del 9,5 nel Regno Unito, del 5,1 in Francia e persino nella rigorosa Germania del 2,5, mentre in Italia è in costante diminuzione: meno 4,7%. Erano oltre tre milioni e mezzo fino al 2002, per scendere di oltre duecentomila unità dal 2010, col blocco delle assunzioni e dello spostamento in avanti dei requisiti per il pensionamento. E guardi, signora, che non è nemmeno vero che per pagarli lo Stato debba svenarsi: l’incidenza sul Pil della spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici nel 2013 (10,3%) è perfettamente in linea con la media dei Paesi dell’Euro, con un valore inferiore a quello francese (13,0%) e britannico (10,6%). E però i dipendenti pubblici hanno pagato un tributo salato all’obiettivo della stabilizzazione dei conti pubblici. Mentre le retribuzioni nel settore manifatturiero e dei servizi, nonostante la crisi, continuano a crescere, la retribuzione pro capite nel pubblico impiego è diminuita quasi dell’1,5% (Inutile dire che anche con la nuova legge di stabilità ci sarà l’ennesimo blocco del rinnovo dei contratti)”. Fatte queste doverose (e di sicuro insufficienti) premesse, ieri in consiglio comunale abbiamo finalmente fatto rientrare una piccola e grande discussione riassumibile con la regola “aurea” del pensiero di Adriano Olivetti: «Nessun dirigente, neanche il più alto, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo”. L’emendamento proposto con la consigliera Chiara Appendino alla delibera sul personale nelle partecipate diceva “Si ritiene inoltre valido il principio secondo cui non debba esserci un divario maggiore del rapporto 1 a 10 tra il minimo e il massimo salariale (comprensivo di istituti premiali e salari acccessori) riconosciuto dell’ente stesso”. Dopo la bocciatura del primo nella narrativa (parere negativo della giunta) abbiamo accettato di ritirare il secondo nell’impegnativa a patto che si facesse uno studio sul reale rapporto nella città per equipararlo negli enti da noi partecipati. Vigileremo e andremo avanti. Per affrontare il tema della disparità fra le retribuzioni dei manager e quelle degli impiegati o operai, nel campo dei privati, e iniziare a parlare di «moral suasion» delle authority per porre un freno a eccessi che hanno trovato terreno particolarmente fertile nel turbocapitalismo finanziario di oggi dobbiamo iniziare ad attuare la redistribuzione nel pubblico.