Ricomincio da tre (virgola sette).
Idee, sinistra TAGS / appendino, comunali 2016, fassino, torino admin 9 giugno 2016Attenzione! Questo non è un messaggio automatico, se non avete voglia di leggere fino in fondo lasciate stare.
La campagna elettorale per me e per molti di noi è finita. Il risultato di Torino in Comune, il 3.7, è deludente.
Il dato, anche se in linea con quello ottenuto alle ultime regionali del 2014 da Sel (3.6, mentre alle comunali del 2011 era il 5.5) è ampiamente al di sotto del risultato conseguito lo stesso anno dall’Altra Europa con Tsipras (6.58).
Matteo Cataldi e Lorenzo De Sio oggi ci raccontano lo scenario OGM che abbiamo davanti: “su 100 elettori di Fassino del 2011 (primo turno) lo hanno seguito nel 2016 soltanto 42. Ben 32 di loro avrebbero invece votato per la Appendino, mentre 14 di loro si sarebbero astenuti. Il dato quindi è che un elettore su tre del centrosinistra del 2011 ha votato per il M5S”. Ma non solo, i due ricercatori ci dicono che “in parte questo corrisponde a un fenomeno corrispondente nel centrodestra. Tra gli elettori di questo schieramento nel 2011, la maggioranza relativa (34 su 100) sarebbe andata verso Fassino, con al secondo posto l’astensione (27 su 100), e solo al terzo Morano, candidato di Lega Nord e Fratelli d’Italia.”
Questa analisi è sostenuta anche da Alessandro Gilioli, che ci ricorda oggi dal suo blog sull’Espresso che il PD perde quando vira al centro o addirittura a destra, ma i voti che il PD perde spostandosi verso l’estremo centro non vanno quasi mai alla sua sinistra, bensì ai Cinque Stelle.
Inoltre il cosiddetto “non voto” non può in nessun modo essere un alibi. Anzi, una forza come la nostra, che nasce per rappresentare i disoccupati, gli inoccupati e i diversamente precari non può non partire da questo dato.
Il dato più plastico della nostra sconfitta.
Quindi, anche se il risultato non fotografa del tutto le energie attratte da tanti candidati e candidate di Torino in Comune (in molti hanno veramente messo cuore e anima in questo progetto), credo sia doveroso ammettere che chi invece voleva “cambiare aria in città” ha scelto altro, ha scelto l’offerta più riconoscibile nazionalmente e con una candidatura considerata più efficace per battere lo status quo. Come mi ha detto un vicino di strada, “se devo dare uno schiaffo uso la mano più pesante”.
Credo che la voglia di cambiare l’esistente sia sempre comprensibile. Lo è anche nel nostro capoluogo, soprattutto da quando la retorica della trasformazione di Torino ha iniziato a sbiadirsi. Inoltre il tentativo di aggredire la crisi con “i numeri del successo, i guinnes dei primati e i record” non ha dato buoni frutti, non potendo nascondere l’aumento della povertà, delle diseguaglianze, dell’esclusione dalla cittadinanza attiva di tante aree e settori della città che si sentono ai margini dei processi di cambiamento.
Vorrei essere chiaro: questo non è un endorsment a Chiara Appendino, anche se la stimo e qualche anno fa è stata una bella scoperta tra i banchi della Sala Rossa. Come Chiara sa, la stima e le tante chiacchierate fatte non sono sufficienti a cancellare quel che penso del movimento che rappresenta.
Il M5S, a mio parere, “offre una rappresentanza esibita ma infeconda”, sostituisce, per la necessità di tenere insieme delusi di destra e di sinistra, la giustizia sociale con l’idea di vendetta, il conflitto con i generatori di crisi con la guerra alla “casta”.
A livello locale non condivido il carattere moderato della proposta sull’economia e sul lavoro, sulla casa e sull’immigrazione, ma soprattutto l’idea del programma del M5S di aumentare gli incentivi alle imprese, un’idea troppo simile a quella renziana che ha gravemente pesato sui conti dello Stato senza dare grandi risultati. Ma soprattutto, non ritrovo nelle parole dei 5 Stelle la voglia di andare alla fonte delle diseguaglianze, di farsi carico del tema della redistribuzione e di indagare sulla troppa concentrazione di patrimonio non tassato nel Paese e denaro eluso ed evaso dalle maglie del nostro fisco.
Penso insomma che l’idea di cambiare, di spazzare via chi governa “senza un segno” non basti. Lo stesso Renzi ha vinto con l’idea di rottamare il vecchio, ma se il cambiamento non ha una direzione rischia di essere solo un buon modo per sostituirsi a quelli di prima senza modificare troppo. Non mi convincono in questo senso le scelte fatte da Chiara per la sua Giunta. I curricula non bastano, così come non bastano i bandi e la parola trasparenza. Esiste discrezione nel merito delle competenze e, se accogli delle personalità in odore di massoneria nero cenere, non credo basti dire che nel loro CV non c’era scritto nulla di simile.
Come avrete colto, la mia però non è neppure una dichiarazione di voto per Piero Fassino.
Come sostengono i Wu Ming, “il centrosinistra ha gravi colpe ma non ha mai pagato dazio, perché ‘di là’ c’era Berlusconi e poteva presentarsi come ‘male minore’. A forza d’iniettarsi dosi di male dicendosi che era ‘minore’, una parte di elettorato non ne ha potuto più, e ha deciso di cambiare spacciatore e sostanza”.
Ho sostenuto lealmente, e continuo a farlo, il mandato degli elettori. Da giovanissimo, nel 2001, ho provato a non regalare a Rosso la città, impegnandomi a far vincere Chiamparino, ho contribuito allo stesso modo a strappare a Ghigo e ai diversamente berlusconiani la Regione aiutando Bresso contro tutti e tutte, sono stato eletto per due volte in consiglio comunale, e due anni fa ho contribuito a riportare fuori dalle caverne leghiste questa Regione proprio di nuovo con Chiamaparino.
Ma le alleanze e le coalizioni sono strumenti, non il fine ultimo del mio impegno. Sempre più aspetti ci dividono, anche qui, da tanti democratici torinesi. A mio avviso, sottovalutano la mutazione genetica che stanno vivendo, non hanno detto “bah” di fronte all’abolizione dell’Imu, allo Sblocca Italia, al pareggio di bilancio, alla riforma delle pensioni, al Jobs Act, alla scomparsa dell’Art. 18. Ci hanno lasciato spesso soli sul tema del lavoro povero, sulla non vendita delle quote pubbliche di Gtt e Trm, non si interrogano sul fatto che le istituzioni non possono essere solo l’ospedale da campo della crisi.
Il problema non è solo che siamo divisi in Parlamento, dove i Democratici governano con Alfano, i voti di Verdini e il programma di Berlusconi. Il problema non è nemmeno solo che Ghigo, Vietti, Magliano e Leo vedano nel PD locale l’evoluzione del loro campo. Il problema è che il PD di Torino si assolve da tutto, non fa autocritica, non cambia se non di volta in volta in peggio.
Noi vorremmo un nuovo municipalismo, non per scimmiottare Ada Colau, ma per dire che anche le elezioni amministrative sono politiche, che anche e soprattutto dal basso si devono pretendere dei cambiamenti delle politiche di austerità che hanno intossicato questo continente.
Inoltre, come ho detto più volte, anche se sono orgoglioso di tante cose fatte in questi anni, non posso essere soddisfatto di questi ultimi in Comune. Non solo perché è difficile essere alleato con chi vuole vedere morta o sussunta la tua forza politica, ma perché molti dei provvedimenti promessi, scritti e votati non sono diventati realtà, cultura, pratiche.
Veniamo alle accuse verso di noi. Abbiamo reso la città contendibile? Vero, lo ammetto. Abbiamo politicizzato lo scontro? Sì, ammetto anche questo e non me ne vergogno.
Molti mi hanno accusato di fare il gioco dei “grillini”, di essere l’ispiratore di un accordo con Chiara Appendino, altri invece hanno continuato a dirmi che alla fine saremmo stati la stampella del PD.
Spero che, anche se non vi siete convinti delle ragioni di Torino in Comune, almeno capirete perché entrambe le idee sono infondate e perché abbiamo deciso di non sostenere nessun candidato al ballottaggio, lasciando ovviamente la libertà del voto a tutta la nostra piccola collettività.
Ultima questione più di colore e di miseria politica. Qualche mese fa per tornare sui miei passi, mi è stato offerto di tutto, per poi dirmi che rifiutavo dall’alto del mio ruolo di consigliere regionale e del mio stipendio.
Insomma, chi sostiene che abbiamo fatto ciò che abbiamo fatto per convenienza si può rispondere da solo.
Chi pensa invece che questa sia la nostra fine credo lo faccia più per auspicio che per reale preoccupazione.
Per chi pensa che debba dimettermi perché sono stato eletto nella lista maggioritaria del centro sinistra ricordo solo che anche se passassi all’opposizione, cosa che non intendo fare, quel seggio rappresenta una forza di sinistra e non è proprietà di nessun custode dell’ortodossia.
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Torino in comune nasce qualche mese fa sulle ceneri di partiti e esperienze divise e spesso in conflitto tra loro. Giorgio Airaudo ha cercato di tenere tutti uniti, ci è riuscito, ma questa precondizione non è stata certo sufficiente a guadagnare consenso. Certamente serve radicamento, ma nel quadro di un progetto nazionale riconoscibile e non subalterno all’agenda dei media e di altre forze politiche.
Inoltre, anche se il risultato è stato al di sotto delle attese, è indubbio che le tante giovani energie che hanno dato vita a questo primo chilometro abbiano segnato una novità sulla scena. Una novità della quale sentirete ancora parlare.